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Fuori orario

Pubblicato: febbraio 5, 2013 in Racconti
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spag

Non ho bisogno di aprire gli occhi per accorgermi che questo non è il mio letto, quella intorno a me non è la mia stanza. Lo capisco appena entro in uno stato di risveglio semicosciente, acquisisco i primi dettagli che i sensi ancora intorpiditi dal sonno mi trasmettono. Sento le lenzuola un po’ più ruvide del solito, il materasso ha un’impercettibile inclinazione verso la mia destra che non riconosco, la luce bagna le palpebre ancora serrate con sfumature cromatiche dai filtri sconosciuti.

Anche i suoni sono curvi ma vivi, sono i suoni di una casa già sveglia, oltre qualche porta o muro. Mi arrivano le frequenze di una voce femminile e onde sonore gorgoglianti di una moka. Avverto anche sensazioni olfattive nuove, un odore di vestiti buttati per terra di fretta, residui alcolici nel mio respiro, note acidule di cibo avanzato nell’aria. Apro lentamente gli occhi, ho qualche attimo di sbandamento a causa delle proporzioni ignote della stanza. È un salotto. Non riesco a ricordare, anche se il torpore mi sta abbandonando e i sensi riprendono le loro piene funzioni. La voce femminile dice «Scusa ti devo lasciare», in fretta. Poi sento la voce di un uomo. È il lungo! Inizio a capire. Chiede «Chi era?»

«Era Monica»

«perché hai riattaccato?»

«Non ho riattaccato»

Riconosco anche la voce di lei adesso, è Lara, la ragazza del lungo. C’è tensione nelle voci, le frasi si spezzano in fretta.

«Hai riattaccato quando mi hai sentito arrivare»

«Sì ma cosa c’entra? Avevo finito»

Ricordo la cena al ristorante spagnolo. Il lungo, Lara, Simone, un altro Simone che non conoscevo, Sara Claudia e io.

Lara continuava a bere limoncini, era piuttosto brilla. Aveva una vitalità esuberante, lanciava brindisi e diceva «Dai non fare il cazzone e bevi», se qualcuno cercava di tirarsi indietro. Io di certo non avevo bisogno di farmelo dire, infatti ho l’impressione che l’intestino si stia avvitando come uno straccio bagnato mentre lo strizzano.

«Ma si può sapere che cazzo vuoi?» sta dicendo Lara.

«Voglio capire chi era quel tizio e cos’era tutta quella confidenza e perché per mezz’ora non ho visto né te né lui!». Il lungo alza il volume della voce, sta quasi gridando. Non è proprio il momento migliore per disturbare, ma ho bisogno d’acqua. E di un caffè. Mi vesto, ricostruisco pezzi di serata. Ricordo al pub, Lara era passata alla sambuca, io e Simone pronti a seguirla, amici di amici che arrivavano, una mora carina, un paio di personaggi di secondo piano, un ragazzo si era messo in marcatura stretta su Lara appena il lungo aveva iniziato a giocare a biliardino. Una marcatura che oscillava tra amicizia e confidenze eccessive in proporzioni variabili, non facili da distinguere per me che non conoscevo i rapporti tra di loro.

Entro in cucina mentre Lara versa il caffè. La luce della finestra spalancata mi investe di taglio facendomi strizzare gli occhi. Ho un’aria arruffata, dico «Buongiorno, scusate».

Il lungo dice «No, no, niente». Il tono è ai livelli minimi di cortesia, rimango ai margini della situazione e cerco di fare in fretta, ma devo rifare il caffè perché è finito.

«Oh ma te l’ho detto, Marco è un mio amico dell’università, piantala di rompere». Lara non assume toni di difesa, sembra piuttosto spazientita.

«Lara porca troia un amico che non si è mai visto e che salta fuori così dal nulla improvvisamente un sabato sera che per una cazzo di volta cambiamo locale e che quando torno ti sta abbracciando! Ma cos’è?» Il lungo è furioso. Scaglia la tazzina del caffè vuota nel lavandino con forza, non si rompe niente per miracolo. Il mio caffè è pronto, per fortuna.

Lara si versa quello che avanzo, mi passa lo zucchero, dice «Io non lo metto». Poi si volta verso il lungo, gridando «Ma bravo, distruggi tutto, li conosco questi tuoi avvelenamenti retrospettivi del cazzo! Ieri sera non te ne fregava niente di quello che facevo, eri troppo impegnato a giocare a biliardino con quelle due troie eh?»

«Ma troie cosa che sono Claudia e Sara, sei tu che facevi la troia con quello!» Lara gli sputa addosso, per fortuna lo manca. Un po’ meno fortunatamente la saliva scura di caffè si stampa sul muro intonacato della cucina, iniziando a colare.

Mi ricordo Lara che a un certo punto aveva detto «Noi andiamo a comperare il tabacco», e si era allontanata con il suo amico Marco e Claudia. Poi Claudia che era tornata indietro prima, è un dettaglio che registro solo adesso nei suoi possibili significati. Poi il lungo a fine serata, mi aveva detto «Facciamo una spaghettata da me dai, dopo puoi fermarti a dormire in salotto se sei stanco».

Questo è il momento perfetto per salutare e svicolare. Accendo una sigaretta, mi si gela il sangue, sbianco, una fitta allucinante. Avrei dovuto bere meno ieri sera, questo è un attacco acuto di colite spastica. In altre parole mi sto per cagare addosso. Corro verso il bagno, sento che c’è una persona che sta facendo la doccia, la porta è chiusa, busso. Dalla cucina Lara grida «C’è Serena in doccia, quella ha sempre gli mp3, non sente un cazzo!» Il dolore è terribile per circa trenta secondi, poi mi concede una tregua. So che è solo questione di pochi minuti prima che ritorni più violento di prima. Torno in cucina, cerco di sedermi e ripiegarmi su me stesso, questa posizione mi da l’idea di prolungare la mia capacità di resistenza, di essere più preparato a combattere un nuovo attacco.

Lara sta sciacquando la moka sotto il rubinetto. Ora ha un’aria strafottente. «Hai paura che ci abbia scopato con quello eh? Sei proprio uno sfigato. Non ci ho fatto niente, comunque, è un mio amico». È odiosa.

Il lungo sembra crederle, si calma «Sì ma siete andati via insieme», dice, con tono remissivo.

«Si, con Claudia», chiosa lei.

Serena esce dal bagno, è lei la mora carina di ieri sera, ovviamente mi ero dimenticato il nome. Mi dice «Buongiorno!», e io mi fiondo appena in tempo prima di farla nel secchio dei rifiuti in cucina. Un velo di nebbia mi scompare dagli occhi, riacquisto lucidità e capacità di analisi. Ricordo che parlavo con Serena, al The Dice, mentre tutti ballavano, noi isolati in una serie di gesti comuni, onde positive, territori di discussione, poi Lara di corsa che arrivava, diceva «Sere ho fatto un casino». Serena che chiedeva «Con Marco?»

Lara diceva «Eh» e la allontanava da me che avevo già sentito troppo.

Ricordo il viaggio in auto, gli spaghetti, io che aprivo la brandina in salotto, il lungo che girava due canne e le faceva girare. Il lungo e Lara che se ne andavano in stanza, Serena che si fermava giusto il tempo di darmi un bacio sulla guancia della buonanotte, mi diceva «Ciao». Io che ero su un altro pianeta e gli occhi che mi si chiudevano.

Torno in cucina, sto meglio, anzi sto bene. Il lungo e Lara si stanno baciando con passione, hanno perso le distanze dagli oggetti che li circondano, urtano cose facendole cadere, recuperano le distanze acquisite con la lite di prima e lo fanno con atteggiamenti scomposti, eccessivi, si appoggiano al tavolo che scivola per un tratto, poi si fermano contro il frigorifero, non staccano le labbra uno dall’altra. Sembrano felici. Ma lei è una stronza.

Raccolgo il giubbotto e mi avvio verso l’uscita.

«Ragazzi io vado. Grazie di tutto. Lungo, guarda che lei con il tizio ieri sera ci è andata»

Mi guardano, si staccano, esco e vado a respirare fuori.